Definizione e tipologie
Il contratto d’appalto, nella normativa antecedente il codice civile vigente, era inquadrato nella
categoria della locatio operis, che comprendeva il contratto di lavoro autonomo, l'appalto e il
trasporto.
Solo nel codice del 1942 l'istituto ha assunto una sua autonoma fisionomia ed è stato disciplinato
dagli articoli 1655 al 1677 del Codice Civile..
Viene definito: “ il contratto con cui una parte assume, con l'organizzazione dei mezzi necessari e
con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o un servizio verso un corrispettivo in
denaro".
Già dalla lettura della definizione emergono le caratteristiche principali dell'istituto:
1) una prestazione di lavoro per il compimento di un’opera o di un servizio;
2) l'autonomia dell'appaltatore (su cui v. Cass. 18745/2010 e Cass 22344/2009);
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3) l'esistenza di un apparato organizzativo.
4) il conseguimento di un risultato
Il contratto d’appalto, pertanto, è un contratto sinallagmatico, vale a dire, a prestazioni
corrispettive;
infatti, a fronte dell’obbligazione di eseguire un’opera o di effettuare un servizio, sussiste la
controprestazione di versare un corrispettivo.
Questo contratto, oltre ad essere oneroso, è ad effetti obbligatori, a forma libera, ad esecuzione
prolungata.
Si fonda in principalità sull'intuitus personae, in quanto il committente deve avere piena fiducia
delle capacità professionali e imprenditoriali dell’appaltatore, ritenute idonee a realizzare a regola
d'arte l'opera o il servizio da commissionare.
Appalto di opere o di servizi
L’appalto di opere consiste nella realizzazione di un bene, mobile o immobile, ex novo, ovvero
nella sua manutenzione o riparazione: si tratta quindi di un lavoro di elaborazione o trasformazione
della materia, diretta a produrre un nuovo bene o a modificarne uno già esistente.
L’appalto di servizi invece è costituito da una qualsiasi utilità che può essere apportata a favore
del committente, volta a soddisfare un bisogno di quest’ultimo, senza trasformazione di materia
[...] e con un contenuto valutabile economicamente.
E’ opportuno distinguere il contratto di appalto di servizi (nel quale l’obbligazione dell’appaltatore
consiste in un facere) dal contratto di somministrazione (nel quale l’obbligazione del
somministrante è diretta ad un dare) .
Se la prestazione dedotta nel contratto è un servizio (ad esempio servizio di pulizia) si sarà sempre
in presenza di un contratto di appalto: se poi i “servizi” vengono effettuati in modo continuativo o
periodico- come ad esempio il contratto di manutenzione dell’impianto di riscaldamento e di
ascensore) si applicheranno, in quanto compatibili, le norme del contratto di somministrazione che
si fondano sulla comune caratteristica della continuità/periodicità. (Rubino “L’appalto” in Trattato
dir. Civ. it - Giannattasio “ L’appalto” in Trattati di dir.civ.e comm.)
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Il legislatore, nel disciplinare l’istituto, ha dato prevalenza agli appalti di opere, in quanto non tutti
gli articoli del codice civile, che disciplinano il contratto de quo, sono applicabili a un appalto di
servizi: ne è un esempio l’art. 1669 c.c. inerente alla rovina e ai gravi difetti di cose immobili.
Nell’appalto rileva, in particolare, l’attività esplicata dall’appaltatore per il raggiungimento del
risultato, indipendentemente dalla quantità di lavoro compiuto o dal materiale impiegato, a
differenza della locazione di opere, per la quale l’imprenditore o il professionista si obbliga
esclusivamente a prestare una determinata quantità di lavoro, a prescindere dal risultato che se ne
può conseguire.
Contratto d’opera
Occorre anche distinguere il contratto di appalto dal contratto d’opera: entrambi rientrano infatti
nella categoria dei contratti di lavoro autonomo, sono entrambi contratti di risultato ed hanno in
comune l’assunzione del rischio.
L’elemento distintivo tra le due tipologie contrattuali risiede nel fatto che mentre il contratto di
appalto presuppone l’esistenza di una organizzazione a carattere di impresa, quindi più complessa
ed articolata, nel contratto d’opera l’attività viene svolta prevalentemente con il lavoro del titolare e
della sua famiglia.
L’amministratore del condominio, quotidianamente, conclude contratti -prevalentemente verbali –
di opera: quando ad esempio incarica un artigiano a intervenire nel condominio per eseguire
interventi di piccola entità, quali a titolo meramente esemplificativo la sostituzione del nottolino
della porta di ingresso, di una plafoniera, di una lampadina, la riparazione, modesta, di una parte
comune.
Nel caso quindi in cui il rapporto instaurato debba essere classificato quale contratto d’opera
troveranno applicazione le norme degli articoli 2222 e seguenti del Codice Civile e non gli articoli
1655 e seguenti.
*
Fase genetica del contratto
Le parti.
La parte che si assume il compimento dell’opera si definisce “appaltatore”; l’altra parte, quella a
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favore della quale la prestazione viene eseguita, si chiama “appaltante” o più comunemente
“committente”.
Forma
Considerato che il contratto d’appalto non necessita di alcuna forma ad substantiam, cioè per la
sua validità, esso può essere stipulato:
a) con atto pubblico, qualora, per esempio, congiuntamente a esso si convenga anche la cessione
in proprietà di alcune unità immobiliari, inserite nel comparto edilizio da realizzare con l’appalto;
b) con una scrittura privata, modalità di conclusione più utilizzata, per esempio, per un appalto a
un’impresa per la ristrutturazione di un immobile, per le opere e di manutenzione del tetto, della
facciata etc oppure per un appalto di pulizia la cui attività è disciplinata dalla legge 25 gennaio
1994, n. 82 e successivi regolamenti di attuazione;
c) in forma verbale, per esempio per un incarico conferito da un amministratore di condominio ad
un artigiano per piccole opere di manutenzione o riparazione delle parti comuni del fabbricato.
Sebbene la forma scritta non sia richiesta ad substantiam in alcuni casi essa è richiesta per fornire
la prova della modifica degli accordi originari: è il caso dell’autorizzazione all’appaltatore ad
apportare variazioni al progetto originario, secondo quanto disposto dall’art. 1659 c.c., che prevede
che sia provata per iscritto.
E’ di tutta evidenza che, ad eccezione del caso in cui l’oggetto del contratto e la sua esecuzione
abbiano un modesto valore e una breve durata (come nel sopra citato esempio del fabbro che
sostituisce il nottolino della posta di ingresso), sia assolutamente opportuno che le diverse
clausole che formano l’accordo siano espresse in un atto scritto, per chiarezza della volontà delle
parti, anche solo per scongiurare equivoci, permettere la verifica del esatto e corretto
adempimento delle clausole stesse, e, non ultimo, per individuare ed accertare l’ eventuale
inadempimento.
Il Corrispettivo
Accanto alla previsione della tipologia dell’opera da eseguire, e che determina, nel sinallagma
contrattuale, l’obbligazione principale dell’appaltatore, il contratto deve prevedere il corrispettivo
per le opere indicate, che costituisce l’obbligazione principale del committente.
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Il corrispettivo può essere determinato in due modi: a corpo o a misura.
Nella prima l’appaltatore è in grado, valutata la complessità dell’opera da realizzare e, nel caso di
beni immobili, esaminati i luoghi nei quali deve operare, di stabilire un prezzo complessivo, così
detto, a corpo o a forfait.
Questa ipotesi attribuisce una maggiore garanzia al committente, in quanto è posto in condizioni,
già dal momento in cui presta il suo consenso, di conoscere, salvo imprevisti regolamentati dalle
parti o dalla stessa legge, l’esatto ammontare delle opere che andrà a commissionare.
Non altrettanto nella seconda ipotesi, in cui, non essendo possibile predeterminare esattamente il
prezzo complessivo, nel contratto si indicano i criteri per il calcolo del corrispettivo, la cui
quantificazione verrà elaborata a mano a mano nel corso dell’esecuzione delle opere, in
concomitanza con gli stati di avanzamento lavori.
Si pensi alle opere di manutenzione di una facciata in condominio, quando non sia possibile
individuare esattamente le parti in cui sia, ad esempio, necessario rifare l’intonaco e quelle in cui
sia invece sufficiente la sola tinteggiatura.
Solo quindi ad opere ultimate il committente avrà esatta contezza della spesa.
E’ frequente l’ipotesi in cui il contratto sia predisposto da uno dei contraenti, il più delle volte
dall’appaltatore che svolge, in forma imprenditoriale, quella determinata attività e quindi formula un
contratto base, che risponda alle sue precise esigenze, derogando, se conveniente, anche ad
alcune delle norme che regolamentano l’appalto, quale contratto tipico.
Sono le cosiddette “condizioni generali di contratto”, utilizzate più frequentemente nei contratti per
la manutenzione degli impianti (centralizzato di riscaldamento – ascensore) o per il servizio di
“terzo responsabile”, i cui effetti sono regolamentati dall’art. 1341 c.c..
E mentre se predisposte dal committente, esse sono efficaci se conosciute al momento della
conclusione del contratto o “conoscibili” secondo l’ordinaria diligenza, se predisposte
dall’appaltatore ed il committente è “consumatore” come nel caso del condominio, esse
saranno efficaci solo in quanto non “vessatorie”, secondo quanto stabilito dal d. lgs. 6 settembre
2005, n. 206, il cd “Codice del Consumo”.
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Per quanto poi non espressamente disciplinato o derogato validamente dal contratto, si applicano
le norme tipizzate dalla legge per il contratto d’appalto (artt. 1655 e seguenti) e in subordine, le
norme generali sui contratti ( artt. 1321 c.c. e seguenti).
L’ Amministratore quale committente – fase pre- contrattuale e contrattuale.
Nell’ambito del Condominio, la parte contrattuale che si configura quale “committente” è il
Condominio stesso, in persona dell’Amministratore.
In quanto rappresentante dei condòmini a lui spettano la stipulazione del contratto d’appalto, oltre
alla cura della corretta esecuzione del medesimo, alla verifica in sede di collaudo, la
comunicazione delle denuncie e l’esercizio delle azioni previste dal codice in materia di garanzia,
oltre alle incombenze previste dalla Direttiva Cantieri, come si vedrà in seguito.
Quando è competente a decidere la stipulazione di un contratto?
Valgono le attribuzioni assegnate all’Amministratore e all’Assemblea, secondo quanto disposto
dagli artt. 1130 e 1135 cod. civ.: quindi se si tratta di manutenzione ordinaria potrà validamente
concludere un contratto di appalto di opere anche in assenza di preventiva delibera assembleare;
se si tratta di opere di manutenzione straordinaria o innovazioni sarà necessaria la preventiva
delibera assembleare, assunta con le maggioranze richieste in funzione della tipologia di interventi
e indicate nell’art. 1136 c.c.
Solo poi in caso di urgenza l’amministratore potrà ordinare lavori di manutenzione straordinaria,
con l’obbligo di riferirne nella prima assemblea (art. 1135, 2° comma c.c.).
La fase che precede la stipulazione del contratto di appalto va condotta con particolare cura da
parte dell’Amministratore e dall’assemblea dei condomini:
vanno infatti in primo luogo individuate e deliberate le opere da fare eseguire:
a tale scopo sarà opportuno, anzi si può dire necessario, far redigere un
progetto dettagliato da parte di un tecnico di fiducia del Condominio;
va poi operata la scelta dell’impresa alla quale affidare l’incarico, impresa che
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diventerà l’ “appaltatore”: tale scelta avviene, come d’uso, dopo l’esame di
almeno tre preventivi forniti da parte di tre soggetti diversi sulla base del progetto
di cui sopra;
la stipula finale del contratto sarà preceduta da un attento esame del testo
contrattuale (soprattutto nella parte in cui si prevedono termini di esecuzione
delle opere e di pagamento, decadenze, garanzie (anche decennale ex art. 1669
c.c, penali (ad esempio per il riptardo), testo del quale formerà parte integrante il
“capitolato” ossia la descrizione, redatta sulla base del “progetto” suindicato,
delle opere che l’appaltatore si impegna ad eseguire.
Particolare attenzione andrà rivolta, anche alle caratteristiche societarie
dell’impresa, alla sua esperienza e alla sua serietà professionale (in quanto
committente egli sarà tenuto alle verifiche ed ai controlli di cui all’art.26 D.Lgs
81/2008)..
Sempre ai fini del rispetto delle norme previste dal testo unico Sicurezza, nei
caso di cantieri temporanei o mobili, sarà opportuno, al fine di evitare che il
committente sia responsabile della sicurezza del cantiere, nominare un
responsabile dei lavori , che potrà coincidere con il progettista o con il
Direttore Lavori, al quale delegare gli oneri e i poteri – anche decisionali - per il
rispetto di dette norme.
Nomina del Direttore Lavori: è il professionista, incaricato dal committente, il
cui ruolo è quello di verificare che l’opera, dal punto di vista tecnico, sia
conforme al progetto ed al capitolato, sorvegliarne l’esecuzione, individuare e
correggere le eventuali carenze che possano impedire il buon esito dell’opera.
Egli può rappresentare il committente solo per le manifestazioni di volontà
inerenti a questioni di carattere strettamente tecnico (accettazione dell’opera
conforme al progetto ed eseguita a regola d’arte).
Non ha viceversa alcun potere di rappresentanza con riguardo alla resa di
dichiarazioni ed al compimento di atti aventi contenuto giuridico.
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Egli accerta i vizi dell’opera, ma solo ed esclusivamente il committente è
legittimato alla relativa denuncia.
*
Fase esecutiva del contratto
Raggiunto l’accordo e sottoscritto il contratto, il rapporto inizia immediatamente a produrre i suoi
effetti: da qui la definizione della sua natura di contratto consensuale ad effetti obbligatori.
Obbligazioni del committente e dell’appaltatore
L’ obbligazione principale del committente è quella di pagare il corrispettivo pattuito, secondo le
modalità concordate nel contratto, generalmente sulla base degli stati di avanzamento dei lavori.
Se si tratta di opere di manutenzione straordinaria di un immobile per le quali il committente possa
usufruire delle agevolazioni fiscali, il pagamento del prezzo, e di ogni singolo eventuale acconto,
deve avvenire esclusivamente con bonifico bancario, utilizzando gli appositi moduli predisposti dal
Ministero.
Nell’ambito del condominio poi è bene ricordare il novellato articolo 1135 c.c. 4° comma, che
prevede che qualora l’opera sulle parti comuni possa definirsi di manutenzione straordinaria o
innovazione, è obbligatorio costituire un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori o
agli stati di avanzamento lavori qualora anche il pagamento dell’appaltatore sia progressivo.
L’obbligazione principale dell’appaltatore è costituita dall’ esecuzione dell’opera o del servizio,
con gestione a proprio rischio.
E’ un’obbligazione di risultato, in quanto l’opera commissionata deve essere completata a regola
d’arte, secondo quanto stabilito nel contratto.
L’appaltatore svolge la sua mansione in modo totalmente autonomo, elemento caratterizzante il
rapporto contrattuale, senza alcuna subordinazione nei confronti del committente, che non può
impartire ordini o disporre specifiche modalità di esecuzione.
Qualora, viceversa, vi sia una ingerenza del committente nell'esecuzione dell'opera appaltata, la
responsabilità dell'appaltatore si riduce proporzionalmente alle indicazioni imperative del primo.
L’organizzazione dell’attività operativa è di esclusiva competenza dell’appaltatore, che deve
apprestare adeguatamente anche i mezzi necessari al perseguimento dei fini convenuti nel
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contratto stipulato; conseguentemente, non è indispensabile che presti personalmente l’attività
lavorativa, ma sarà sufficiente l’organizzazione imprenditoriale del lavoro.
L’obbligazione di risultato e l’assunzione del rischio che gravano sull’appaltatore, costituiscono gli
elementi che differenziano tale tipologia contrattuale da altri rapporti di lavoro: se infatti il rischio
della realizzazione dell’opera non ricade sul lavoratore, anche se questi svolge l’attività in modo
autonomo, ma sul committente, si tratterà di una prestazione di un lavoro subordinato o di un
lavoro intellettuale o, ancora, di una locazione d’opera, non di un appalto.
In considerazione del fatto che il rischio grava sull’imprenditore, il controllo e la sorveglianza, nel
corso dell’esecuzione delle opere, da parte del committente devono limitarsi alla verifica della
corrispondenza delle opere da eseguire al progetto ed al contratto (art. 1662 c.c.); ogni altra
ingerenza che faccia venir meno l’ autonomia dell’appaltatore e lo ponga quale mero esecutore,
nudus minister, delle disposizioni del committente si riflette poi, come si vedrà più oltre, nella
responsabilità contrattuale nel caso in cui l’opera non venisse realizzata secondo la regola
dell’arte.
Detta verifica e controllo, nell’edilizia, come già evidenziato, vengono generalmente effettuate dal
committente per il tramite del Direttore Lavori, professionista che per la sua perizia tecnica ha le
competenze per seguire lo svolgimento dei lavori secondo quanto stabilito contrattualmente ed a
regola d’arte e, nel caso di difformità, ed il potere di intimare, per conto del committente,
all’imprenditore di conformarsi, pena la risoluzione del contratto.
Variazioni
Nel corso dell’esecuzione del contratto di appalto, possono poi verificarsi alcune situazioni che, se
non espressamente disciplinate dai contraenti, sono regolamentate dagli artt. 1659 e seguenti c.c.:
sono le ipotesi di variazioni alle opere da realizzare, che possono essere concordate, necessarie
od ordinate dal committente.
Prima di esaminare le diverse tipologie disciplinate dalle norme, è bene ricordare che non tutte
sono legittime:
Nell’ambito del contratto di appalto, infatti, è del tutto irrilevante che le variazioni siano prevedibili o
siano imprevedibili.
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Vengono definite prevedibili quelle modifiche di scarso valore economico e di insignificante
modalità attuativa, che non incidono in modo rilevante sul contenuto del contratto e che non sono
state previste nel progetto contrattuale originario, proprio a causa dell’impossibilità di individuarle
aprioristicamente.
Così come sono prevedibili quelle già conosciute al momento della conclusione del contratto.
Le variazioni imprevedibili sono quelle dipendenti da fatti oggettivi esterni alle decisioni dei
contraenti;
concetto differente rispetto a quello di “non previsione” che dipende da un fatto soggettivo delle
parti, dimentichi di particolari circostanze al momento della conclusione del contratto e che non
genera alcuna conseguenza sul contratto stesso: in quest’ultima ipotesi, infatti, le modifiche delle
modalità di esecuzione dell’opera avrebbero dovuto essere riportate nel progetto originario,
considerato che un’attenta riflessione su quanto si sarebbe dovuto realizzare, le avrebbe
individuate e prescritte.
Può però accadere che l’appaltatore, dotato di una certa autonomia nella realizzazione dell’opera,
nel corso della stessa individui tecniche, che seppure conformi al capitolato contrattuale e alle
norme di legge imperative, quali la disciplina della sicurezza dei luoghi di lavoro e dei cantieri
mobili ex d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, siano più idonee al perseguimento dello scopo .
In tal caso, le variazioni concordate, cioè quelle proposte dall’appaltatore sono legittime solo se
autorizzate dal committente: è l’ipotesi prevista dall’art. 1659 c.c.
L’assenza di tale autorizzazione può determinare la risoluzione del contratto, qualora l’appalto sia
ancora in corso e la “diversa” opera non sia idonea a soddisfare le esigenze del committente, oltre
al risarcimento dei danni eventualmente cagionati;
Qualora invece dette variazioni non autorizzate vengano constatate al momento della consegna
dell’opera, il committente può chiedere la riduzione del prezzo o il risarcimento dei danni, e, si
ritiene, anche rifiutare l’opera, se questa non sia funzionale al raggiungimento dei suoi scopi.
Alla autorizzazione del committente non corrisponde comunque una modifica del prezzo, se
questo era fissato a corpo, salvo ovviamente un diverso accordo tra le parti.
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In altri termini e per quanto interessa l’amministratore-committente: nel caso di variazioni proposte
dall’appaltatore, solo il committente – e non anche il Direttore lavori - ha titolo per autorizzare
dette variazioni.
Se non le ha autorizzate, né preventivamente per iscritto, né tacitamente al momento
della verifica o collaudo, esse sono arbitrarie ed il condominio potrà pretenderne
l’eliminazione.
Se sono state autorizzate se l’appalto è a corpo, nessun compenso aggiuntivo sarà
dovuto all’appaltatore, se invece il contratto è “a misura” sarà dovuto all’appaltatore un
compenso supplementare.
Le variazioni necessarie sono quelle imposte dalle regole dell’arte, da norme tecniche
inderogabili, da nuove normative emanate nelle more dell’esecuzione del contratto: cioè da
situazioni oggettivamente imprevedibili, che i contraenti non potevano conoscere al momento della
conclusione del contratto ma che impongono la modifica del progetto.
Ovviamente, deve trattarsi di una vera necessità e non di una intervenuta superiore difficoltà
esecutiva, fattispecie questa disciplinata dall'art. 1664 c.c.
Se le variazioni da apportare, necessarie, siano di rilevante valore economico, l’articolo 1660 c.c.
prevede, per entrambe le parti, la facoltà di recedere dal contratto: per l'appaltatore, qualora
l'importo delle variazioni superi di un sesto il prezzo concordato, per il committente se dette
variazioni siano “di notevole entità”, comportino cioè un notevole incremento del prezzo .
Il recesso può essere invocato anche nell'ipotesi in cui l'appaltatore ritenga eccessivo l'aumento
superiore al sesto sopra indicato per affrontare l'opera con la sua organizzazione di impresa; il
sesto potrebbe essere raggiunto anche a seguito di una pluralità di variazioni già intervenute.
Nell’uno e nell’altro caso spetta all’appaltatore un indennizzo “equo”.
L’indennità può essere calcolata in diversi modi, ma va comunque rapportata al valore del
materiale utilizzato; per la natura delle variazioni da apportare infatti, necessarie, rispetto alla
previsione di cui all’art. 1223 c.c. che disciplina la quantificazione del risarcimento del danno, è
legittima la richiesta del solo danno emergente, cioè della perdita subita, ma non anche del
mancato guadagno, consistente nella somma che l’appaltatore avrebbe potuto ricavare se avesse
portato a compimento l'opera convenuta. Indennizzo certamente inferiore rispetto a quello previsto
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in caso di recesso ex art. 1671 cod. civ., in quanto nel caso in esame è determinato da una giusta
causa e non dal volere autonomo del committente.
Altra variazione prevista e disciplinata dalla legge è quella relativa alle variazioni ordinate dal
committente: sono variazioni che non sono necessarie alla esecuzione a regola d’arte dell’opera
appaltata.
Anche in questo caso, solo ed unicamente il condominio, (committente), - e non il Direttore Lavori
– può apportare variazioni al progetto, purchè non superino il sesto del prezzo complessivo
convenuto.
Esse non sono consentite a meno che non vengano accettate dall’appaltatore, quando le
variazioni stesse, pur essendo contenute nel citato limite del sesto e pur avendo qualche
connessione con l’opera, non siano necessarie alla completa o migliore esecuzione della stessa,
né rientrano nel progetto, oppure importino notevoli modificazioni alla natura dell’opera (c.d. lavori
extracontrattuali”), o notevoli modificazioni dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste
nel contratto per l’esecuzione dell’opera medesima (art. 1661 cod. civ.).
Il valore del sesto va calcolato considerando l’intero ammontare del corrispettivo dovuto al
momento in cui la variazione è ordinata, tenendo conto anche di variazioni precedenti. Inoltre, è
stato ritenuto che l’entità di più varianti anche successive va sommata e posta in riferimento al
prezzo inizialmente convenuto.
Può accadere che gli ordini di variazioni provengano da singoli condomini, i quali contattano a
tale scopo l’Amministratore, oppure intrattengono rapporti diretti con l’impresa. A tal riguardo si
ricorda che i condomini possono chiedere ed ottenere, direttamente e/o tramite l’Amministratore,
variazioni che interessino le rispettive proprietà esclusive assumendone il relativo costo.
Nel caso in cui le variazioni riguardassero invece l’oggetto del contratto costituito dai lavori
deliberati dall’assemblea su parti comuni, si creerebbe una situazione complessa, foriera di
contestazioni e di contenzioso: da un lato, la legittimazione dell’Amministratore nelle materie di sua
competenza non esclude la concorrente legittimazione dei singoli condomini nelle stesse materie;
dall’altro lato, l’ingerenza da parte di singoli condomini nei rapporti con l’impresa, anche se
teoricamente legittima, potrebbe comportare in primo luogo conflitto di interessi tra condomini
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(posto che le variazioni modificano un progetto contenuto in capitolato d’appalto di lavori approvati
dall’assemblea) oltre a sovrapposizione e/o contraddizione di ruoli e di istruzioni, con rischio di
compromettere la posizione del Condominio committente soprattutto nel momento in cui dovesse
far valere le garanzie dell’appalto.
E’ opportuno segnalare sul punto una sentenza della Cassazione civile, sez. II, 21/02/2017 n. 4430
– rel. Dott. Antonio Scarpa – che stabilisce, in merito, alle variazioni apportate nel corso
dell’esecuzione delle opere appaltate, che “E' pacifico che occorra l'autorizzazione dell'assemblea
(o, comunque, l'approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell'art. 1135 c.c., comma
1, n. 4, e con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c., comma 4, per l'approvazione di un
appalto relativo a riparazioni straordinarie dell'edificio condominiale (si veda indicativamente Cass.
Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016). La delibera assembleare in ordine alla manutenzione
straordinaria deve determinare l'oggetto del contratto di appalto da stipulare con l'impresa
prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando
tutti i particolari dell'opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella
loro consistenza qualitativa e quantitativa. Sono, peraltro, ammissibili successive integrazioni della
delibera di approvazione dei lavori, pure inizialmente indeterminata, sulla base di accertamenti
tecnici da compiersi. In ogni caso, l'autorizzazione assembleare di un'opera può reputarsi
comprensiva di ogni altro lavoro intrinsecamente connesso nel preventivo approvato (arg. da
Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5889 del 20/04/2001) ...... omissis.... Quanto detto in ordine
all'approvazione delle modalità costruttive ed al prezzo vale, ovviamente, anche per le varianti
dell'opera di manutenzione straordinaria appaltata dal condominio, dovendo parimenti le variazioni
alle originarie modalità convenute essere autorizzate dall'assemblea del condominio, sempre
ex art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, e art. 1136 c.c., comma 4. E' tuttavia certamente consentito
all'assemblea di approvare successivamente le varianti delle opere di manutenzione straordinarie
appaltate, comportanti un aumento delle spese medesime, disponendone il rimborso, trattandosi di
delibera riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall'art. 1135 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n.
6896 del 04/06/1992; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016, in motivazione).
L'assemblea può, infatti ratificare le spese straordinarie erogate dall'amministratore senza
preventiva autorizzazione, anche se prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, e, di
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conseguenza, approvarle, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva di delibera di
esecuzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2864 del
07/02/2008). Ove sia mancata la preventiva approvazione della spesa per il progetto originario
delle opere di manutenzione straordinaria o, come nella specie, per la sua variante (comportante
un aumento di spesa dai preventivati Euro 7.790,89 ad Euro 13.840,63, oltre I.V.A.), non vi è
ragione per cui alla ratifica di tale spesa ed all'approvazione del relativo riparto, con la necessaria
maggioranza, non si possa procedere altresì in sede di rendiconto consuntivo, pur essendo questa
la sede in cui, di regola, l'assemblea provvede ad approvare I' erogazione delle spese di
manutenzione ordinaria e quelle relative ai servizi comuni essenziali”.
Opere extra contratto
Costituiscono fattispecie diversa quelle che comunemente vengono definite ”opere extra
contratto”: interventi, nuovi e diversi, richiesti dal committente in aggiunta delle opere pattuite in
contratto, senza che sussista alcuno dei motivi suindicati che caratterizzano le variazioni
concordate, quelle necessarie e quelle ordinate dal committente che il codice civile, come si è
visto, disciplina espressamente e compiutamente.
Le “opere extra” hanno natura ed entità tale da potersi considerare oggetto di nuovo contratto di
appalto: in tal caso si è in presenza di “lavori extracontrattuali” che vanno adeguatamente, prima,
deliberati dall’assemblea e, poi, pattuiti ex novo tra il Condominio e l’appaltatore sia in relazione
alla loro entità e modalità di esecuzione, sia in relazione al loro prezzo che, andrà ad aggiungersi a
quello in origine pattuito.
Ovviamente l’appaltatore, potrà non aderire alla richiesta del committente, non essendovi alcun
obbligo a contrarre. Nell’ipotesi testé menzionata, l’appaltatore, pur rifiutando il nuovo incarico,
dovrà pur sempre completare l’opera originariamente convenuta.
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Ultimazione Delle Opere
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La normativa sull’appalto prevede un vero e proprio procedimento da seguire al momento della
ultimazione delle opere, disciplinato dagli articoli 1665 e 1666 c.c.
La dottrina, però, mutuando la terminologia dal linguaggio usato negli appalti pubblici, ha distinto
tutta l'operazione descritta nell'articolo 1665 c.c. in 4 momenti:
1) la verifica, diretta ad accertare l'esecuzione dell'opera;
2) il collaudo, che è il risultato della verifica e consiste nella dichiarazione con cui si fissa il
contenuto dell'opera, cioè si dichiara se è conforme al progetto e se è costruita bene o male (il
termine, infatti, deriva dal latino cum laude);
3) l'accettazione dell'opera;
4) la consegna.
La verifica ed il collaudo costituiscono, entrambi, il momento in cui, all’esito, l’opera è formalmente
accettata dal committente ed a lui consegnata.
La distinzione, giuridica, dei tre diversi momenti, della verifica, del collaudo e dell’accettazione, non
è esplicitata: nella pratica tali momenti sono spesso contemporanei e, insieme, determinano
l’accettazione dell’opera;
non è tuttavia escluso che si possa avere un collaudo senza accettazione (quando si dichiara che
l'opera è difforme da quanto previsto) o un'accettazione senza né verifica né collaudo (art. 1665
comma 4 c.c.) od anche una verifica con successiva accettazione, ma senza collaudo (quando il
committente effettua la verifica ma trascura di comunicare il risultato all'appaltatore: articolo 1665
comma 3 c.c.).
In alcuni casi si parla di accettazione presunta:
a) quando il committente trascura di effettuare la verifica senza un giustificato motivo (art. 1665
c.c.);
b) quando il committente non comunica il risultato della verifica entro breve termine (art. 1665
comma 3 c.c.);
c) quando il committente, anche senza aver effettuato la verifica, accetta senza riserve la
consegna dell'opera (art. 1665 comma 4 c.c.);
d) quando si tratta di opere da eseguire per partite e il committente paga la singola partita (art.
1666 c.c.).
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Il momento dell’accettazione produce due effetti fondamentali: da un lato il diritto alla consegna
dell’opera da parte del committente (art. 1667 c.c.), e dall’altro il diritto di esigere il prezzo da parte
dell'appaltatore;
ma segna anche due momenti altrettanto determinanti: il passaggio del rischio per il
deterioramento o il perimento della cosa (art. 1673 c.c.) al committente e la liberazione
dell'appaltatore dalla garanzia per i vizi palesi.
*
L'estinzione del contratto
Il contratto di appalto si estingue per le cause proprie di ogni contratto (adempimento, risoluzione
per inadempimento, impossibilità sopravvenuta, mutuo consenso, confusione e -negli appalti di
durata- il decorso del tempo).
Vi sono poi delle ipotesi particolari, specifiche per il contratto di appalto, tra le quali il fallimento
dell'appaltatore o quello del committente (art. 81 L.F.), nonché il perimento o il deterioramento
dell'opera per causa non imputabile, prima che sia intervenuta l'accettazione (art. 1673 c.c.).
Un'ipotesi particolare di estinzione dell'appalto è prevista dall'art. 1671 c.c.: "il committente può
recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del
servizio, purché tenga indenne l'appaltatore dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal
mancato guadagno".
Esercitato il diritto di recesso il committente acquista la proprietà dell'opera già eseguita.
Tale articolo prevede un vero e proprio caso ex lege di recesso unilaterale ad nutum, il quale, però,
non pregiudica le ragioni dell'appaltatore che avrà diritto ad un risarcimento, comprendente il
prezzo dell'opera eseguita e il mancato guadagno.
La norma - secondo alcuni autori - si fonda sul carattere intuitu personae del contratto, cosicché
venendo meno la fiducia nell'impresa da parte dell'appaltante, gli si concede la possibilità di
recedere senza problemi; inoltre si fonda sulla possibilità che col passare del tempo venga meno
-per le cause più svariate - l'interesse del committente. Si tratta quindi di un vero e proprio diritto
potestativo del committente, esercitabile a prescindere dal ricorrere di una giusta causa.
(“Nel contratto di appalto, il recesso unilaterale del committente previsto dall'art. 1671 c.c.
costituisce esercizio di un diritto potestativo e, come tale, non esige che ricorra una giusta causa;
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ne consegue che la domanda giudiziale con la quale l'appaltatore chieda l'accertamento di tale
recesso si fonda su presupposti diversi da quelli posti a base dell'azione con cui il medesimo
deduca l'inadempimento del committente, giacché quest'ultima domanda implica un'indagine
comparativa delle condotte tenute dalle parti al fine di verificare la colpevolezza e la gravità del
comportamento denunciato.” Cassazione civile, sez. II, 02/05/2011, n. 9645).
La dottrina prevalente ritiene che le parti possano apportare modifiche alla disciplina del recesso
(ad esempio stabilendo che tale diritto non possa essere esercitato se non per giusta causa) ma
non sopprimerlo totalmente; di conseguenza una clausola che escludesse completamente la
possibilità di esercitare il recesso sarebbe nulla
Ulteriore ipotesi di recesso, questa volta a favore sia del committente che dell'appaltatore, si ha nel
caso, già esaminato, di variazioni al progetto che si rendano necessarie in corso di opera (art.
1660 c.c.). Se le variazioni superano il sesto del costo complessivo dell'opera l'appaltatore può
recedere dal contratto e ottenere un'indennità per il lavoro svolto fino a quel momento; il
committente, invece, può recedere -corrispondendo un equo indennizzo- se le variazioni sono di
notevole entità (e quindi anche inferiori al sesto).
Quanto alla risoluzione per eccessiva onerosità, secondo parte della dottrina l'istituto generale
disciplinato dagli artt.1467 c.c. e segg c.c. non troverebbe applicazione perché sostituito
interamente dall'istituto della revisione del prezzo previsto dall'art. 1664 c.c..
E' stato affermato, però, che non può dirsi a priori che la disciplina dell'eccessiva onerosità sia
sempre inapplicabile (Moscarini, Cagnasso): vi possono essere dei casi, infatti, in cui l'aumento dei
prezzi non dipenda né dalla sorpresa geologica (art. 1664 comma 2 c.c.) né da circostanze
imprevedibili (art. 1664 comma 1 c.c.), nel qual caso si applicherà la disciplina generale; per
esempio può pensarsi ad un aumento esagerato dei prezzi degli immobili dovuto a nuovi tributi
oppure ad un nuovo piano regolatore.
L'articolo 1672 c.c. prevede che il rapporto, infine, si sciolga per l'impossibilità sopravvenuta non
imputabile ad alcuna delle parti; se una parte dell'opera è stata già eseguita il committente deve
pagarne il prezzo "nei limiti in cui è per lui utile".
L'articolo 1662 comma 2 c.c. regola un'ipotesi di risoluzione per inadempimento in tutto simile alla
diffida ad adempiere di cui all'articolo 1454 c.c.: "Quando, nel corso dell'opera, si accerta che la
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prosecuzione non procede secondo quanto stabilito nel contratto e a regola d'arte, il committente
può fissare un congruo temine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni;
trascorso inutilmente il termine stabilito il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al
risarcimento del danno".
E’ un’ipotesi di risoluzione stragiudiziale del contratto: l’inutile decorso del termine fissato dal
committente determina la risoluzione del contratto ipso iure e l’autorità giudiziaria non potrà far
altro che accertare l’intervenuta risoluzione contrattuale.
Nonostante il rapporto di fiducia che caratterizza il contratto di appalto, la morte dell'appaltatore
non estingue il contratto, salvo che la considerazione della sua persona sia stato il motivo
determinante del contratto (art. 1674 c.c.)
Il rapporto prosegue con gli eredi, ma se costoro non danno sufficiente affidamento per la buona
prosecuzione dell'opera il committente può recedere e gli eredi hanno diritto ad essere pagati per
la parte di opere già eseguita (art. 1675 c.c.); in tal caso, però, non hanno diritto a essere
compensati del mancato guadagno.
La norma si ritiene applicabile analogicamente ai casi di interdizione, inabilitazione, incapacità
naturale o assenza dell'appaltatore, quando la considerazione della sua persona sia stato il motivo
determinante del contratto.
*
Il subappalto
Il subappalto è una figura che rientra nella categoria del subcontratto, e il legislatore gli dedica solo
due norme del codice.
Con tale contratto l'appaltatore incarica un terzo (subappaltatore) di eseguire l'opera o il servizio
che erano stati a lui commissionati e quindi diventa a sua volta committente in un secondo
contratto di appalto.
Il subappalto è negozio autonomo rispetto a quello di appalto, nel senso che il committente non ha
rapporti con il subappaltatore, almeno entro certi limiti: tra i due contratti sussiste quel rapporto che
la dottrina chiama “collegamento negoziale unilaterale”, nel senso che le vicende dell'appalto
reagiscono su quelle del subappalto, ma non viceversa.
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(Cnf. Cassazione civile, sez. II, 02/08/2011, n. 16917 “In tema di appalto, la consapevolezza, o
anche il consenso, sia antecedente, sia successivo, espresso dal committente all'esecuzione, in
tutto o in parte, delle opere in subappalto, valgono soltanto a rendere legittimo, ex art. 1656 c.c., il
ricorso dell'appaltatore a tale modalità di esecuzione della propria prestazione e non anche ad
instaurare alcun diretto rapporto tra committente e subappaltatore. Ne consegue che, in difetto di
diversi accordi, il subappaltatore risponde della relativa esecuzione nei confronti del solo
appaltatore e, correlativamente, solo verso quest'ultimo, e non anche nei confronti del
committente, può rivolgersi ai fini dell'adempimento delle obbligazioni, segnatamente di quelle di
pagamento derivanti dal subcontratto in questione. A tale principio non si sottrae l'esperimento
dell'azione per il pagamento dell'indennizzo spettante all'appaltatore in caso di recesso del
committente, di cui all'art. 1671 c.c., rivestendo anche quest'ultima natura contrattuale”. )
Ad esempio l'invalidità o la risoluzione del contratto di appalto comportano l'invalidità o la
risoluzione del subappalto, ma non accade il contrario.
Al subappalto si applica la disciplina dell'appalto nei rapporti tra subappaltante e subappaltatore,
salvo le norme aventi carattere particolare e che prevedono particolari benefici.
L'art. 1656 c.c. vieta il subappalto, salvo che non sia stato autorizzato dal committente.
Le ragioni del divieto di subappalto sono controverse.
Secondo parte della dottrina sarebbe dovuto al fatto che l'appalto è un contratto intuitu personae
ma, come abbiamo visto, tale conclusione non può essere accettata per ogni contratto di appalto,
ma solo per quello in cui la qualità dell'imprenditore è stata la ragione determinante del contratto.
Altra parte, allora, ha individuato le ragioni del divieto nella necessità di evitare che nel mercato si
inseriscano imprese che siano mere "accaparratrici di lavori", cioè che svolgano la sola funzione di
intermediazione tra committenti ed esecutori effettivi, facendo salire i costi e disperdendo le
responsabilità.
La norma non specifica quali siano le conseguenze della mancanza di autorizzazione e al riguardo
sono state proposte diverse teorie.
Secondo parte della dottrina il contratto di subappalto sarebbe valido, ma l'appaltatore sarebbe
responsabile verso il committente (Ferri).
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Secondo altri autori il contratto sarebbe annullabile, ma la teoria non ha convinto appieno la
prevalente dottrina perché l'annullabilità deve essere espressamente prevista dalla legge.
Taluno ha sostenuto che il contratto sarebbe nullo, e che si tratterebbe di nullità relativa, che
potrebbe essere fatta valere solo dal committente (Rubino, op. cit.).
E' forse preferibile la teoria secondo cui il contratto sia valido, ma - trattandosi di un
inadempimento contrattuale - il committente possa chiedere all'appaltatore la risoluzione del
contratto ex articolo 1453 e il risarcimento dei danni.
L'autorizzazione al subappalto può essere data sia in forma scritta che orale, con manifestazione
espressa o tacita, preventivamente o successivamente alla stipulazione del contratto di appalto e
anche sotto forma di ratifica successiva per un subappalto stipulato senza autorizzazione.
E' escluso, però, che valga come autorizzazione tacita il fatto che l'appaltante abbia chiesto
l'autorizzazione senza ottenere alcuna risposta dal committente.
Il subappalto può anche essere parziale e riguardare solo una parte dell'opera.
L'estinzione del contratto di appalto (ad esempio per impossibilità sopravvenuta oppure per
recesso del committente) determina l'estinzione del subappalto.
Se la causa di estinzione è determinata dalla colpa dell'appaltatore allora costui risponde del
danno verso il subappaltatore.
La responsabilità per vizi e difformità è a carico dell'appaltatore, né il committente può agire contro
il subappaltatore.
Qualora il subappaltatore provochi dei danni al committente, questi saranno risarciti dal
subappaltante-appaltatore, anche se quest'ultimo non abbia colpa alcuna nell'aver scelto l'impresa
subappaltatrice. L'appaltatore che ha pagato il danno commesso dal subappaltatore può poi agire
in regresso nei confronti del subappaltatore (art. 1670 c.c.).
La verifica e l'accettazione dovranno essere compiuti sia dal committente che dall’ appaltatore -
subappaltante ;
ovviamente l'appaltatore effettuerà la verifica nei confronti del subappaltatore e il committente le
effettuerà nei confronti dell'appaltatore.
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La responsabilità per i danni nei confronti dei terzi è a carico del subappaltatore, restando a carico
del subappaltante solo qualora costui si sia riservato un intenso potere di direzione dei lavori, tale
da non lasciare autonomia al subappaltatore.
La differenza tra il subappalto e la cessione del contratto di appalto (art. 1406 c.c.) sta nel fatto
che in quest’ultimo il cessionario subentra nei rapporti attivi e passivi, e tra cedente e ceduto si
instaura un rapporto diretto; al contrario, nel subappalto non sorgono rapporti diretti tra il
committente e il subappaltatore.
*
Responsabilità e garanzie
Responsabilità dell’appaltatore
Il contratto di appalto, oltre a produrre diritti e obbligazioni tra le parti, genera responsabilità.
Accanto alla disciplina generale in materia, il codice civile regolamenta specifiche responsabilità
contrattuali (che gravano anche sul committente) ed extracontrattuali.
La prima è quella che rimane confinata tra le parti del contratto, quindi tra committente ed
appaltatore; la seconda invece è quella che varca tali confini e determina responsabilità anche nei
confronti di soggetti diversi, estranei al contratto.
L’appaltatore in via extracontrattuale, ad esempio, è ritenuto responsabile per i danni causati dai
fatti o dalle omissioni attuati dai propri dipendenti ai sensi dell’ art. 2049 c.c., per i danni provocati
dalle cose che ha in custodia ai sensi dell’art. art. 2051 c.c., per i danni cagionati nell'esercizio di
una attività pericolosa per sua natura o per la natura dei mezzi utilizzati ex art. 2050 c.c. ed infine,
così come disposto specificamente dall’art. 1669 c.c., “per la rovina e i difetti di cose immobili
destinati a lunga durata”.
Quanto alla responsabilità di cui all’art. 2049 c.c., in particolare, essa si associa alla responsabilità
contrattuale prevista dall'art.1228 cod. civ., inerente alla responsabilità per fatto degli ausiliari.
Essa è costituita dalla circostanza che i danni sono determinati per colpa del dipendente
nell'esecuzione dell'opera.
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Qualora il danno sia determinato da un intervento autonomo e colposo del lavoratore subordinato,
si verifica la fattispecie del danno ingiusto per fatto illecito, che ne causa la responsabilità
aquiliana.
Se, però, il danno sia stato provocato con dolo dal dipendente, questi ne risponde in proprio, senza
che ne sia coinvolto il datore di lavoro.
a) Responsabilità contrattuale
L’appaltatore è responsabile nei confronti del committente in tutti i casi di inadempimento
contrattuale.
Oltre quindi all’obbligo di adempiere regolarmente a tutte le clausole inserite nel contratto, sussiste
una sua responsabilità riconducibile alla natura dell’incarico impartito, alla sua autonomia ed
all’obbligazione di risultato che caratterizza il contratto.
In particolare:
- Obbligo di diligenza:
trattandosi di obbligazione di risultato, è tenuto a controllare e verificare le istruzioni impartite
dal committente (Cassazione civile, sez. I, 09/10/2017, n. 23594)
“L'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica
relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la
bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente
errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio
dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del
committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è
tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera
garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del
progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal
direttore dei lavori..” (In senso conforme: Cassazione civile, sez. II, 17/06/2013, n. 15093 -Cass.
Civ., sez. 02, del 21/05/2012, n. 8016) .
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- Obbligo di esame dell’adeguatezza del progetto
L’autonomia, la necessaria competenza dell’appaltatore, l’organizzazione dei mezzi per la
realizzazione a regola d’arte dell’opera commissionata impongono poi all’appaltatore, nel caso di
costruzione di opere edilizie, di esaminare l’adeguatezza del progetto alle caratteristiche
geologiche su cui devono essere poste le fondazioni (Cassazione civile, sez. III, 31/05/2006, n.
12995)
“In tema di contratto di appalto, l'appaltatore è tenuto a realizzare l'opera a regola d'arte,
osservando nell'esecuzione della prestazione la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176 c.c.,
comma 2, quale modello astratto di condotta che si estrinseca (sia esso professionista o
imprenditore) nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente
ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto
all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio,
nonchè ad evitare possibili eventi dannosi.
Anche laddove si attiene alle previsioni del progetto altrui, come nel caso in cui il committente
abbia predisposto il progetto e fornito indicazioni sulla relativa realizzazione, l'appaltatore può
comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera qualora non abbia, nel fedelmente
eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, al primo segnalato eventuali carenze ed errori.
Mentre va esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e
degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni,
in tale ipotesi risultando l'appaltatore ridotto a mero nudus minister (cfr., da ultimo, Cass.,
12/04/2005, n. 7515; Cass., 30/05/2003, n. 8813; Cass., 2/08/2001, n. 10550; Cass.,
26/07/1999, n. 8075)....omissis...Con specifico riferimento all'attività di costruzione di opere
edilizie, si è in giurisprudenza di legittimità in particolare affermato che in mancanza di diversa
previsione contrattuale l'indagine sulla natura e consistenza del suolo edificatorio rientra
propriamente tra i compiti dell'appaltatore (v. Cass., 16/11/1993, n. 11290; Cass., 18/03/1987,
n. 2725), trattandosi di indagine implicante una attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di
particolari mezzi tecnici, che al medesimo appaltatore - quale soggetto obbligato a realizzare
l'opera commessagli - spetta assolvere mettendo a disposizione la propria organizzazione
(v. Cass., 7/09/2000, n. 11783).
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Lo specifico settore di competenza in cui rientra l'attività esercitata richiede infatti la specifica
conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell'attività necessaria
per l'esecuzione dell'opera, onde si configura come onere dell'appaltatore predisporre
un'organizzazione della sua impresa che assicuri la presenza di tali competenze per poter
adempiere l'obbligazione di eseguire l'opera immune da vizi e difformità (artt. 1667, 1668, 1669
c.c.) (cfr. Cass., 23/09/1996, n. 8395).
L'indagine sulla natura e consistenza del suolo edificatorio rientra anch'essa tra gli obblighi
dell'appaltatore, in quanto l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione dipende
dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono essere
poste le relative fondazioni. E poichè la validità di un progetto di una costruzione edilizia è
condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche geologiche del suolo su cui essa deve
sorgere, il controllo da parte dell'appaltatore va esteso anche in ordine a tale aspetto.
Ne consegue che l'appaltatore risponde per i difetti della costruzione derivanti (pure) da vizi ed
inidoneità del suolo (v. Cass., 18/04/2002, n. 5632; Cass., 29/01/2002, n. 1154; Cass.,
7/09/2000, n. 11783; Cass., 16/11/1993, n. 11290; Cass., 27/04/1993, n. 4921), anche laddove
gli stessi siano ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente, in
tal caso prospettandosi l'ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta
responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d'opera
professionale ex art. 2235 c.c. (cfr. Cass., 23/09/1996, n. 8395).
*
Sempre nell’ipotesi di realizzazione di beni immobili, rientra tra gli obblighi di diligenza
dell’appaltatore, la verifica della validità tecnica del progetto geologico redatto ai sensi del
D.M. 11.03.1988 e fornito dal committente e quindi l’obbligo, in sede esecutiva di segnalare al
committente le inesattezze delle informazioni risultanti dalla relazione geologica (Cassazione civile,
sez. II, 21/11/2016, n. 23665 e Cassazione civile 31 dicembre 2013 n. 28812)
“L'appaltatore è responsabile per i difetti della costruzione derivanti da vizi ed inidoneità del suolo
anche ove gli stessi siano ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal
committente, atteso che l'indagine sulla natura e sulla consistenza del suolo rientra tra i compiti
dell'appaltatore che deve estendere il suo controllo anche alla rispondenza del progetto alle
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caratteristiche geologiche del terreno su cui devono porsi le fondazioni, in quanto l'esecuzione a
regola d'arte dell'opera dipende dall'adeguatezza dell'uno alle altre” (Cass. civile, sez. II,
21/11/2016, n. 23665)
“In materia di appalto, rientra tra gli obblighi di diligenza dell'appaltatore esercitare il controllo della
validità tecnica del progetto fornito dal committente, di cui costituisce parte integrante - ai sensi del
d.m. 11 marzo 1988, che disciplina i progetti relativi a gallerie e manufatti sotterranei - la relazione
contenente i risultati delle indagini geologiche fondanti la scelta dell'ubicazione e del tracciato
dell'opera e la previsione dei metodi di scavo, sicché permane in sede esecutiva l'obbligo
dell'appaltatore di segnalare al committente le inesattezze delle informazioni risultanti dalla
relazione geologica, al fine di promuovere le modifiche progettuali necessarie per la buona riuscita
dell'opera. Cassazione civile 31 dicembre 2013 n. 28812)
L’appaltatore risponde, soprattutto, qualora nell’esecuzione dell'appalto non abbia rispettato le così
dette regole dell'arte vigenti al momento nel quale viene realizzato; nessuna responsabilità può
essergli invece addebitata se ultimata e consegnata l'opera, muta la normativa di riferimento, per
fare un esempio, le norme UNI.
- Ritardo nella consegna dell’opera
Altra responsabilità, sempre contrattuale, che grava sull'appaltatore è quella derivante dal ritardo
con il quale consegna l'opera.
Solitamente il contratto prevede un termine per l’ultimazione dei lavori; superata la scadenza,
l'appaltatore è inadempiente a questa obbligazione; il committente, per garantirsi la consegna nei
termini, usualmente inserisce in contratto una penale ex art. 1382 cod. civ., rapportata ad ogni
giorno di ritardo.
Se, poi, il committente presenti una particolare esigenza a che il termine di ultimazione dei lavori
non sia prorogato per nessun motivo, può convenire un termine essenziale ai sensi dell'art. 1457
cod. civ., che, se non rispettato, determina la risoluzione di diritto del contratto.
Altra responsabilità, sempre contrattuale, è quella derivante dal mancato corretto uso del
materiale, in conformità cioè alle prescrizioni fornite dalla casa produttrice.
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- Vizi dell’opera ex art. 1667 c.c.
La norma speciale, di cui all’art. 1667 c.c., regolamenta poi l'ipotesi delle difformità e dei vizi
dell'opera, già ultimata e consegnata con le modalità previste dall'art. 1665 cod. civ., citato.
Prima della sua consegna infatti, cioè nel corso di esecuzione, il committente, anche per il tramite
del Direttore Lavori, ha diritto di verificare lo svolgimento delle opere e la loro realizzazione
secondo le regole dell’arte e, nel caso si verifichino le ipotesi ad esempio di ritardo, inadempimento
ovvero mancata consegna, troveranno applicazione i principi generali in materia di inadempimento
contrattuale. . Precisa sul punto è la sentenza della
Cassazione civile, sez. I, 27/01/2015, (ud. 04/12/2014, dep.27/01/2015), n. 1509 laddove afferma
“il giudice distrettuale ha fatto esplicita applicazione del principio di diritto (Cass. Sez. 2, Sentenza
n. 7364 del 1996 e molte altre conformi), espressamente richiamato nella sentenza impugnata,
secondo cui "Le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (artt. 1667,
1668 e 1669 cod. civ.) integrano, ma non escludono, l'applicazione dei principi generali in materia
di inadempimento contrattuale che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme
speciali, nel senso che la comune responsabilità dell'appaltatore ex artt. 1453 e 1455 cod. civ.
sorge allorquando egli non esegue interamente l'opera o, se l'ha eseguita, si rifiuta di consegnarla
o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente
responsabilità dell'appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell'opera, prevista dagli
artt. 1667 e 1668 cod. civ., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per
l'esecuzione dell'opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, nel caso di omesso
completamento dell'opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è
consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, far
ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento
dell'opera".
Le garanzie previste dagli articoli 1667 e seguenti c.c. soccorrono quindi quando il contratto ha
esaurito i suoi effetti.
L’art. 1667 c.c. dispone che “L'appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell'opera.
La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui
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conosciuti o erano riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti
dall'appaltatore”.
Le difformità dell’opera ineriscono alla violazione delle disposizioni contrattuali concernenti la
qualità del bene, così come richiesto dal progetto originario, mentre i vizi vengono identificati
nell’imperizia nell’esecuzione dell’opera, nel mancato rispetto cioè delle metodologie costruttive,
nell’assenza, in altri termini, della cd. regola dell’arte;
La garanzia non opera, se il committente ha accettato l'opera nello stato in cui si trova e le
difformità e i vizi erano dal medesimo conosciuti o erano facilmente riconoscibili, purché questi
ultimi non fossero stati taciuti in mala fede dall'appaltatore;
Peraltro, permane un principio generale di buona fede contrattuale che impone al committente di
adempiere all’obbligazione di pagamento del prezzo qualora i vizi e le difformità siano di lieve
entità e non incidano sulla sua funzionalità (Cass. civ., Sez. VI, 26 novembre 2013, n. 26365).
“La disciplina stabilita dall'art. 1665 c.c., per il diritto dell'appaltatore al pagamento del corrispettivo,
non si sottrae alla regola generale secondo la quale il principio inadimplenti non est adimplendum
va applicato secondo buona fede e, pertanto, il giudice del merito deve accertare se la spesa
occorrente per eliminare i vizi dell'opera è proporzionata a quella che il committente rifiuta perciò di
corrispondere all'appaltatore, ovvero subordina a tale eliminazione”.
Se, comunque, il committente abbia accettato l'opera senza eccepire i vizi palesi o facilmente
riscontrabili, e solo successivamente li rilevi, non può avvalersi dei rimedi previsti dall'art. 1197
cod. civ., in materia di prestazione differente dall'esatto adempimento di una obbligazione e,
conseguentemente, pretendere che i vizi siano eliminati a cura e spesa dell’appaltatore.
La questione maggiormente rilevante inerisce alla facile riconoscibilità dei vizi equiparata per il
committente alla loro conoscibilità, in relazione alle conseguenze negative che ne derivano.
Dottrina e giurisprudenza differenziano il grado di conoscibilità in base alle conoscenze tecniche
che il committente possiede personalmente o può avere con l'ausilio di un professionista di sua
fiducia, che deve adempiere al suo incarico con la diligenza media di un esperto.
Se la competenza personale del committente è elevata, si ritiene che avrebbe dovuto riscontrare le
difformità e/o i vizi al momento della consegna del bene, mentre se è modesta, in quanto profano
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della materia, la mancata eccezione può essere giustificata, non essendo egli obbligato ad
assumere un professionista per svolgere questo incombente.
Indipendentemente da ciò, qualora l'appaltatore abbia dolosamente occultato i vizi dell'opera, la
garanzia di cui al precitato art. 1667 cod. civ., può essere invocata dal committente all'atto della
sua scoperta.
È necessario, pertanto, che l'appaltatore sia in mala fede, circostanza questa che non si verifica,
qualora ignorasse, senza colpa, l'esistenza del vizio.
Qualora l’appaltatore, alla consegna del bene, riconosca i vizi sussistenti e contestati dal
committente e si impegni a eliminarli, sorge per lui una nuova obbligazione con le conseguenze in
merito ai termini di prescrizione dell’azione radicabile da parte del committente per chiedere la
riduzione del prezzo o il risarcimento dei danni.
“Il riconoscimento dei vizi e delle difformità dell'opera e l'assunzione dell'impegno ad eliminarli da
parte dell'appaltatore implicano non soltanto l'accettazione delle contestazioni e la rinuncia a far
valere l'esonero dalla garanzia previsto dall'art. 1667 c.c., ma determinano altresì l'assunzione di
una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa ed autonoma rispetto a quella originaria, che
non necessita di alcuna accettazione formale della controparte, cui attribuisce il medesimo diritto
di agire per i vizi ormai “ex adverso” riconosciuti e, quindi, svincolato dal termine decadenziale e
soggetto al solo termine prescrizionale ordinario. (Tribunale di Modena 23/05/2013, n. 803-
conformi Tribunale Grosseto, 12/08/2016, n. 598 - Corte appello Brescia, sez. I, 26/01/2017, n.
108 - Tribunale Monza, sez. II, 05/07/2016, n. 1896)
La garanzia de qua ha natura contrattuale; considerata la peculiarità che presenta il contratto di
appalto, il committente deve avvalersi delle tutele previste dall'articolo in esame e da quello
successivo (art. 1668 cod. civ.) e non di quelle generali concernenti gli inadempimenti contrattuali,
in particolare dell'art.1453 cod. civ., inerente al diritto di una parte di risolvere il contratto a fronte
dell’inadempimento dell’altra.
La tutela prevista dalla legge all’art. 1668 c.c. nell’ipotesi di vizi e difetti dell’opera realizzata e
dettata espressamente e consiste, nell’ordine:
- Nell’obbligo dell’appaltatore di eliminare i vizi a proprie spese (e tale azione è
un'applicazione particolare della azione generale di adempimento);
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- Nella diminuzione del prezzo, fatto salvo, comunque, " il risarcimento del danno, in caso di
colpa dell'appaltatore". Questo inciso ha dato luogo a due interpretazioni differenti.
Secondo una prima tesi, la responsabilità per i vizi o le difformità sarebbe da annoverare nella
responsabilità oggettiva, o perlomeno sarebbe da considerare come un'obbligazione di garanzia
posta a carico dell'appaltatore;
di conseguenza l'appaltatore sarebbe responsabile, a prescindere dalla colpa.
- Se i vizi e i difetti siano poi tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione,
l’art. 1668 c.c. 2° comma, ammette l’ipotesi di risoluzione del contratto.
I presupposti quindi per ricorrere a tale rimedio sono specifici e di maggiore gravità rispetto alla
generale azione di cui risoluzione del contratto disciplinata dall’ all'articolo 1453 c.c., in cui
l'inadempimento deve essere "di non scarsa importanza".
Si discute se il committente possa esercitare la domanda di risoluzione e, in subordine, chiedere
l'eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo.
Parte della dottrina dà una risposta positiva; non essendo esplicitamente vietato, infatti (a
differenza di quanto è previsto per l'azione generale di risoluzione del contratto) è ragionevole
supporre che il committente possa esperire le due domande alternativamente.
- Corresponsabilità
Uno dei problemi più rilevanti posti dalla responsabilità dell'appaltatore è quello della
corresponsabilità dell'appaltatore, del progettista e del direttore lavori.
Bisogna innanzitutto precisare che:
se il vizio di costruzione dipende solo dall'appaltatore (mentre il progetto era ineccepibile), la
responsabilità sarà esclusivamente a carico dell'appaltatore;
se il vizio di costruzione dipende unicamente da un errore del progetto, ma l'appaltatore non era in
grado di accorgersene per le particolari conoscenze tecniche che erano richieste, la responsabilità
graverà solo sul progettista.
Se invece il difetto dipende da un errore di progettazione e l'appaltatore - accortosi del difetto - non
lo ha comunicato al committente, oppure non lo ha rilevato pur avendo le conoscenze tecniche per
poterlo fare, sussiste una corresponsabilità dei due soggetti.
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Il problema, discusso in dottina, consiste nella natura di tale corresponsabilità, se solidale o meno.
L’accoglimento dell’una o della altra tesi ha precise conseguenze, in quanto, aderendo per la
seconta tesi, il soggetto corresponsabile che adempie, non potrebbe poi esercitare l’azione di
regresso.
Allo stesso tempo, anche il direttore dei lavori potrebbe non essere ritenuto esente da
responsabilità.
Ciò può avvenire quando il danno subito dal committente (anche condominio) sia conseguenza dei
concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori i quali, quindi, potranno essere
chiamati in solido a rispondere degli eventuali danni.
La responsabilità del direttore dei lavori deriva, in particolare, dall’obbligo di vigilanza incombente
sullo stesso, dal dovere di impartire le opportune disposizioni sull’andamento delle opere, nonché
dal potere di controllo sul corretto operato dell’appaltatore ed, rilevatane la violazione, dal dovere
di riferire in merito al committente.
Sotto il profilo della natura dell’obbligazione gravante sul Direttore Lavori, “di mezzi” e non “di
risultato”, rileva il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale – pur essendo vero che,
in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, questi presta
un’opera professionale– il direttore dei lavori è tuttavia chiamato a svolgere la propria attività in
situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, sicché egli deve utilizzare le
proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di
realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire.
Ne deriva che il comportamento del direttore dei lavori deve essere valutato non con riferimento al
normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”, sicché rientrano
nelle obbligazioni su di lui gravanti, l’accertamento della conformità sia della progressiva
realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle
regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la
realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.
Ne segue che non può ritenersi esente da responsabilità il direttore dei lavori che, nell’ambito di
siffatto ruolo tecnico-professionale, ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al
riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al
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committente; in ciò concretandosi quell’alta sorveglianza delle opere implicante il regolare ed
assiduo controllo (attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa)
della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e stati di avanzamento” (Ex multis: Cass. civ.,
13/04/2015, n. 7373).
Termini di operatività della garanzia ex art. 1667 c.c.
La legge prevede dei brevissimi termini di operatività della garanzia prevista dall’art. 1667 c.c. : la
denuncia del vizio deve essere effettuata entro il termine di decadenza di 60 giorni dalla scoperta e
la relativa azione si prescrive con il decorso dei due anni dalla consegna dell’opera.
Ebbene, la “scoperta” e, pertanto, la decorrenza del termine di decadenza si ha nel momento in cui
il committente “consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei
difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo
sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti” (Cass. civ.,
09/12/2013, n. 27433).
Ecco quindi che è necessaria l’effettiva conoscenza che può essere acquisita in ogni modo,
senza tuttavia la necessità di un riscontro tecnico, quando l’evidenza del vizio è già
sufficientemente emersa.
Con specifico riferimento al condominio/committente i lavori, è stato ritenuto che la conoscenza
potesse considerarsi acquisita dal momento in cui i vizi dell’opera erano stati evidenziati in alcuni
verbali di assemblee condominiali (Cfr.: Cass. civ., 22/11/2013, n. 26233).
Quanto alla prescrizione, si ritiene, prevalentemente che “il termine di prescrizione è stato fatto
decorrere dal deposito nella procedura di accertamento tecnico preventivo della relazione del
consulente di ufficio, essendo in tal modo i committenti venuti a conoscenza dell’esistenza dei vizi”
(Cass. civ., 19/08/2009, n. 18402).
b) Responsabilità ex art. 1669 c.c.
Come già citato, l'art. 1669 il codice prevede una particolare forma di responsabilità per i soli beni
immobili, che prescinde dal collaudo e dall'accettazione, e che è stata dettata dall'esigenza di
adeguare i termini della garanzia alla durata particolarmente lunga della vita degli immobili stessi;
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si è inoltre considerato il fatto che spesso i difetti degli immobili si manifestano a distanza di anni, e
quindi l'ordinario termine di prescrizione della garanzia per vizi non sarebbe stato sufficiente.
La norma dispone:-"Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinati per loro natura a
lunga durata, se nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto
della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi
difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente o dei suoi aventi causa, purché
sia fatta la denuncia entro un anno dalla scoperta.
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denuncia".
Responsabilità contrattuale o extracontrattuale?
Si è lungamente dibattuto in dottrina e in giurisprudenza in ordine alla natura della responsabilità
prevista dall’art. 1669 c.c.
Granitica la giurisprudenza, anche recente, nel sostenere la natura extracontrattuale della
responsabilità per rovina e difetti delle cose immobili: gli interessi tutelati dall’art. 1669 c.c., ovvero
quelli volti alla stabilità, alla sicurezza, alla funzionalità dell’opera nonché alla sicurezza ed alla
incolumità dei cittadini sono indisponibili e conseguentemente la norma deve inquadrarsi
nell’universo aquiliano, la cui tutela è di ordine pubblico.
Essa costituirebbe una responsabilità speciale rispetto a quella generale, dei fatti illeciti,
disciplinata dall’art. 2043 c.c.
Di contrario avviso è la dottrina ( Rubino “L’appalto” op. cit.- Passarella “I singoli contratti”) la quale,
a sostegno dell’assunto, ritiene che la collocazione della norma (all’interno della disciplina di un
contratto tipico), gli elementi oggettivi della fattispecie e l’espressa estensione della garanzia agli
aventi causa del committente, non si concilierebbero con una visione extracontrattuale della
norma.
Quest’ultima sarebbe volta a garantire e proteggere un equilibrio economico tra i contraenti
piuttosto che tutelare un interesse pubblico alla lunga durata degli immobili; ed il limite decennale
della garanzia previsto dalla norma sarebbe in contrasto con una tutela di natura pubblicistica.
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La tutela di interessi superindividuali non spiegherebbe, secondo l’orientamento dottrinale, il
motivo di aver incluso tra i “gravi difetti di costruzione “, anche quelli che incidono sulla funzionalità
ed abitabilità degli stessi e che quindi riguardano elementi accessori dell’opera realizzata.
Secondo la dottrina, l’art. 1669 c.c. altro non sarebbe se non norma speciale rispetto agli artt. 1667
e 1668 c.c.
L’accoglimento di una o dell’altra tesi ha precise conseguenze, in particolare in merito alla
legittimazione attiva, ai soggetti cioè titolati a far valere la garanzia.
Se si aderisse alla tesi dottrinale, contrastata da unanime giurisprudenza, solo il committente e gli
aventi causa di quest’ultimo potrebbero far valere la garanzia decennale.
Sarebbero invece esclusi i soggetti estranei al rapporto contrattuale, come gli aventi causa dal
venditore-costruttore, il conduttore e, non ultimo, l’amministratore del condominio.
Inquadrando quindi la garanzia citata nell’alveo della responsabilità extracontrattuale o aquiliana,
la giurisprudenza ha ritenuto sussistere la legittimazione ad processum dell’amministratore del
condominio “al fine di far valere la garanzia ex art. 1669 c.c. per i gravi difetti di costruzione che
possano porre il pericolo la sicurezza dell’edificio condominiale, anche senza la preventiva
autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale”
E “la relativa azione può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma
anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l'immobile sotto la propria
responsabilità, allorchè lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi
acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell'opera, e sempre che si
tratti di gravi difetti, i quali, al di fuori dell'ipotesi di rovina o di evidente pericolo) di rovina, pur
senza influire sulla stabilità dell'edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale
godimento, la funzionalità o l'abitabilità del medesimo (Cass. nn. 2238/12, 8140/04, 4622/02,
9853/98, 3146/98, 9313/97 e 8109/97)” (Cassazione civile , Sez. II , 19 Aprile 2017 n. 9911 – e
conformi Cass. Civile n. 17484/2006 – n. 12231/2002 – n. 3304/2000).
Responsabilità oggettiva o per colpa
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E' dubbio se si tratti di responsabilità oggettiva o per colpa. Prevale la tesi della responsabilità per
colpa presunta; trattandosi di presunzione iuris tantum l'appaltatore è ammesso a provare che la
rovina o i difetti sono dovuti a cause che non dipendono dal suo comportamento colpevole.
Quanto al contenuto, l'articolo in esame non lo chiarisce, stabilendo che il costruttore "è
responsabile" senza precisare se la responsabilità in esame sia limitata solo al risarcimento del
danno, oppure comprenda anche l'eliminazione delle difformità.
Tuttavia la differenza tra le due tesi non è troppo rilevante, se si considera che il committente ha
sempre la facoltà, prevista dall’art. 2058 c.c., di chiedere il risarcimento del danno in forma
specifica .
Applicabilità della norma:
La norma trova applicazione solo se l’opera posta in essere dall’appaltatore sia un edificio o altro
bene immobile destinato per sua natura ad una lunga durata.
Ci si deve richiamare quindi alla definizione di bene immobile di cui all’art. 812 c.c. “Sono beni
immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se
unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è
incorporato al suolo”.
Quanto alla nozione di immobile, non vi si ricomprendono le costruzioni unite al suolo in via
transitoria, come le baracche di legno, o i chioschi;
Parafrasando sinteticamente la parte della norma che dispone: “L’opera, per vizio del suolo o per
difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o
gravi difetti” :
Il “vizio del suolo” si configura ogni qualvolta il terreno non sia adatto a sostenere quel particolare
immobile;
“Difetto di costruzione” riguarda un errore di progettazione o di esecuzione materiale dell’opera;
“Rovina in tutto o in parte o presenta evidente pericolo di rovina”: l’opera viene meno nella sua
interezza o ne siano compromessi gli elementi essenziali oppure ancora presenti pericolo attuale
ed evidente di rovina.
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Non necessariamente il pericolo può essere verificabile da chiunque, potendo essere necessario
accertarlo mediante una perizia di un tecnico, al termine della quale decorreranno i termini di
prescrizione.
La certezza e l'attualità del pericolo di crollo deve essere concretamente provata da colui che
intende far valere in giudizio il diritto conseguente alla garanzia de qua ai sensi dell'art. 2697 cod.
civ. (Cass. civ., Sez. III, 8 maggio 2014, n. 9966).
“Gravi difetti”: Per gravi difetti, secondo la Relazione al Re, devono intendersi "quelli che incidono
sulla sostanza e sulla stabilità dell'opera, anche se non determinino minaccia di crollo immediato o
evidente pericolo di rovina".
Devono rendere la cosa non funzionale in modo sensibile ovvero pregiudicarne in modo rilevante
l'utilizzo, anche se relativi a una parte dell’opera, o a beni accessori strutturalmente collegati al
bene principale.
Secondo una giurisprudenza consolidata i gravi difetti vanno intesi come “una qualsiasi
alterazione, conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non
riguardando parti essenziali della stessa, bensì quegli elementi accessori o secondari che ne
consentono l’impiego duraturo chi è destinata (ad esempio le condutture di adduzione idrica, i
rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria) incidano negativamente ed in modo
considerevole sul godimento dell’immobile medesimo” (Cass. Civile 01.08.2003 n. 11740 conformi:
Cass. civ., 04/10/2011, n. 20307; Cass. civ., 06/02/2009, n. 3040)
Un difetto di lieve entità non consente di potersi avvalere di questa particolare garanzia; Non
sempre è agevole stabilire la natura dei difetti e, in caso di controversia, sarà l'autorità giudiziaria a
risolverla, probabilmente mediante l'ausilio di una consulenza tecnica d'ufficio.
Ci si chiede se debba trattarsi di vizi palesi od occulti; secondo alcuni, la garanzia varrebbe
unicamente per i vizi occulti, in quanto se il vizio è palese, si applicherebbe l'articolo 1668 c.c..
Ma l'opinione prevalente è che la norma si applichi a tutti i vizi, palesi o occulti, indipendentemente
dall'accettazione con riserva.
Operatività della garanzia
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I vizi devono riguardare “l’opera”: secondo una parte della giurisprudenza se il dato letterale della
norma si raccorda con l’edificio ... destinato a una lunga durata, il presupposto della operatività
della norma ed il suo limite risiede nella costruzione.
Si riteneva quindi che quando il costruttore non edifichi ex novo ma si limiti a riparazioni su edifici
preesistenti, debba trovare applicazione l’art. 1667 c.c. e non l’art. 1669.
Così aveva stabilito la sentenza della Corte di Cassazione del 2007 n. 24143: “la responsabilità
dell'appaltatore ex art. 1669 c.c. trova applicazione esclusivamente quando siano riscontrabili vizi
riguardanti la costruzione dell'edificio stesso o di una parte di esso, ma non anche in caso di
modificazioni o riparazioni apportate ad un edificio preesistente o ad altre preesistenti cose
immobili, anche se destinate per loro natura a lunga durata. (Nella specie, la S.C. ha riformato la
sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile tale ipotesi di responsabilità in riferimento
all'opera di mero rifacimento della impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo
condominiale di un edificio preesistente)” Ed ancora “Qualora non ricorra la costruzione di un
edificio o di altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata, ma un'opera di mera
riparazione o modificazione di preesistenti edifici o di altre preesistenti cose immobili, destinate per
loro natura a lunga durata, la norma dell'art. 1669 c.c. non è applicabile, potendo invece trovare
applicazione, se ne ricorrono le condizioni, la disciplina sulla responsabilità dell'appaltatore, per
difformità e vizi dell'opera, di cui all'art. 1667”.
Aderente al citato principio, ma privo di ulteriori approfondimenti sul tema, è una recente sentenza
della Corte di Cassazione del 22 Maggio 2015 n. 10658, mentre di segno opposto, quella
immediatamente successiva della stessa Sezione, della Corte di Cassazione del 04 Novembre
2015 n. 22553.
Il contrasto giurisprudenziale è stato infine composto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
del 27/03/2017, n. 7756 che ha sancito che la garanzia” includa a pieno titolo gli interventi
manutentivi o modificativi di lunga durata, la cui potenziale incidenza tanto sulla rovina o sul
pericolo di rovina quanto sul normale godimento del bene non opera in modo dissimile dalle ipotesi
di edificazione ex novo. Pertanto, la pur indubbia specialità della protezione di lunga durata
accordata al committente (protezione che resiste anche al collaudo: cfr. Cass. nn. 7914/14,
1290/00 e 4026/74), non interferisce con la questione in oggetto.”
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Estensione della garanzia e termini
Quanto ai soggetti, la norma è stata ritenuta applicabile a tutti coloro che hanno collaborato
nell'opera, quindi anche al progettista (per cui si ripropone il problema visto sopra, della
responsabilità solidale tra progettista e appaltatore), e al direttore dei lavori ( Cass. 23/07/2013 n.
17874).
Nell’ipotesi di garanzia per gravi difetti, i limiti temporali di prescrizione e decadenza sono differenti
rispetto a quelli indicati nell’art. 1667 c.c.:
La denunzia può essere effettuata entro dieci anni dal compimento, come indica il testo
dell'articolo in esame, che significa che il termine decennale inizia a decorre dal deposito in
Comune del documento amministrativo di ultimazione dei lavori appaltati. Qualora un grave difetto
sia contestato poco prima della scadenza dei dieci anni, poiché scoperto solo allora, l’azione
giudiziaria può essere promossa anche successivamente, sempre che sia radicata entro l’anno
dalla denuncia.
La denuncia deve essere effettuata entro un anno dalla effettiva scoperta del vizio e non da un
primo sospetto della sua esistenza. Compete al costruttore l'onere della prova concernente la
differente data della scoperta da parte del committente al fine di eccepire l'intervenuta
prescrizione.
Qualora il costruttore non intervenga per effettuare le riparazioni necessarie ad eliminare i gravi
difetti, la susseguente azione si prescrive in un anno dalla denunzia; per calcolare esattamente il
trascorrere del tempo è necessario accertare la data di ricevimento della raccomandata inviata,
meglio, quindi, se con avviso di ricevimento ovvero quella della posta elettronica certificata
trasmessa, considerato che la denunzia è un atto unilaterale recettizio alla quale si applicano gli
artt.1334 e 1335 cod. civ.. Ne consegue che il committente, nell'ipotesi di trattative per
eventualmente giungere ad una transazione, deve entro il precitato termine di un anno:
1) o inviare una nuova raccomandata per interrompere il termine di prescrizione, ricordandosi
sempre che trattasi di un atto unilaterale recettizio e, quindi, deve pervenire al destinatario entro il
termine di prescrizione;
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2) o iniziare un'azione giudiziaria, per esempio per conseguire coattivamente il risarcimento dei
danni patiti, preferendo provvedere alle dovute riparazioni con altra impresa di maggior fiducia.
Viceversa, se il costruttore provvede a eliminare i vizi lamentati o le parti addivengano ad un
accordo transattivo, il termine decennale ricomincia a decorrere non più ai sensi dell'art. 1669 cod.
civ., ma in virtù dei termini ordinari di prescrizione ai sensi dell'art. 2946 cod. civ.., che sono,
appunto, di dieci anni.
Pertanto, l’azione concessa all’avente diritto, ex art. 1669 cod. civ., si pone in rapporto di specialità
rispetto a quella radicabile ex art. 2043 cod. civ., che è norma generale sulla responsabilità per
fatto illecito.
Per espresso dettato testuale dell'art.1669 cod. civ. non si deve dimenticare infine che la norma è
inserita nella disciplina del contratto di appalto e, quindi, l'appaltatore non può che essere il
costruttore dell'immobile oppure, come stabilito dalla Corte di Cassazione (19.04.2017 n. 9911 cit),
il venditore, qualora quest’ultimo abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità
assumendo, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità
nella costruzione dell’opera.
Nei confronti di colui che sia invece soltanto venditore del bene, le garanzie del contratto di appalto
non operano: ogni vizio, anche grave, dovrà essere contestato dall'acquirente nei termini di cui
all'art. 1495 cod. civ., in tema di contratto di vendita, vale a dire otto giorni dalla scoperta per la
denuncia, a pena di decadenza, e un anno dalla consegna, quale termine prescrizionale per la
relativa azione di garanzia.
******
Alla luce di quanto esposto, l’amministratore del condominio, per tutelare la collettività
condominiale e non incorrere in responsabilità, deve:
nella ipotesi di Garanzia biennale – (art. 1667 – art. 1668 c.c. ) provvedere alla
- Denuncia, mediante raccomandata a.r. o PEC o atto notificato a mezzo Ufficiale Giudiziario,
entro 60 giorni dalla scoperta delle difformità e dei vizi (termine di decadenza, che non si può
interrompere o prorogare)
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- la denuncia va inviata a tutti i soggetti coinvolti nell’esecuzione del contratto, in
quanto tutti potrebbero risultare responsabili
- la denuncia deve contenere la descrizione delle difformità e dei vizi contestati
- Esercizio dell’azione (eliminazione di difformità e vizi, oppure riduzione del prezzo oppure
risoluzione del contratto) entro 2 anni dalla consegna dell’opera: termine di prescrizione che può
essere interrotto mediante l’invio all’appaltatore di una comunicazione nella quale, ribadite le
contestazioni già contenute nella denuncia, si formula espressa riserva di agire e si specifica che
la comunicazione “vale ad ogni fine ed effetto anche interruttivo della prescrizione”.
Il termine prescrizionale di 2 anni ricomincia a decorrere dal giorno della comunicazione interruttiva
della prescrizione; e così di seguito, di biennio in biennio).
Nell’ipotesi di Garanzia decennale - (art. 1669 c.c. ) provvedere alla
– Denuncia mediante raccomandata a.r. o PEC o atto notificato a mezzo Ufficiale Giudiziario, entro
1 anno dalla scoperta (intesa come apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei
difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera) dei fatti indicati
dall’art. 1669 c.c. (termine di decadenza)
- i fatti (rovina, pericolo di rovina, gravi difetti) devono verificarsi non oltre i 10 anni dal
compimento dell’opera (durata della garanzia)
-la denuncia va inviata a tutti i soggetti coinvolti nell’esecuzione del contratto, in
quanto tutti potrebbero risultare responsabili
- la denuncia deve contenere la descrizione dei fatti e/o dei gravi difetti contestati
-Esercizio dell’azione (risarcimento del danno) entro 1 anno dalla denuncia (termine di prescrizione
che può essere interrotto mediante l’invio all’appaltatore di una comunicazione nella quale,
ribadite le contestazioni già contenute nella denuncia, si formula espressa riserva di agire e si
specifica che la comunicazione “vale ad ogni fine ed effetto anche interruttivo della prescrizione”. Il
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termine prescrizionale di 1 anno ricomincia a decorrere dal giorno della comunicazione interruttiva
della prescrizione; e così di seguito, di anno in anno)
Cessazione dall’incarico dell’Amministratore e pendenza dei termini
Nei casi in cui l’Amministratore cessi dall’incarico e sia ancora in corso il passaggio delle consegne
al nuovo amministratore, oppure quest’ultimo non sia stato ancora nominato, l’Amministratore
dovrà inviare le suindicate comunicazioni (denunzie /comunicazioni interruttive della prescrizione)
nel rispetto dei termini di legge, dovendosi tali atti ritenere compresi nelle “attività urgenti al fine di
evitare pregiudizi agli interessi comuni” che, ai sensi dell’art 1129, 8° comma c.c., l’amministratore
cessato dall’incarico è tenuto ad eseguire senza diritto ad ulteriori compensi
Responsabilità del committente
La principale obbligazione del committente inerisce al pagamento del prezzo, debba esso avvenire
in un'unica soluzione o per singole partite o per stati di avanzamento dei lavori.
Il mancato pagamento, anche parziale, determina il suo inadempimento con la possibile
proposizione di una domanda giudiziaria da parte dell'appaltatore di esatto adempimento.
Il committente, inoltre, risponde dei danni provocati a terzi per l'utilizzo di materiali difettosi, che
abbia voluto ugualmente impiegare, malgrado l'avviso in tal senso da parte dell'appaltatore ex art.
1662 cod. civ., citato.
Risponde anche per il ritardo nell'esecuzione dei lavori, se determinato da sua colpa; un obbligo
del committente è anche quello di porre tempestivamente l'appaltatore in grado di compiere l'opera
o il servizio. Sussiste, infatti, a carico del committente un onere di collaborazione, e, pertanto, si
deve ritenere che esista una mora del debitore (Cassazione civile, sez. II, 22/11/2013, n. 26260).
Il committente risponde poi direttamente nei confronti dei lavoratori dipendenti dell’appaltatore del
credito dagli stessi vantato nei confronti del loro datore di lavoro; ciò, tuttavia, come previsto
dall’art. 1676 c.c. nei limiti del debito che il committente stesso ha ancora nei confronti
dell’appaltatore.
E’ opportuno tuttavia rammentare quanto disposto dall’art. 29 d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e
successive integrazione la circolare 11 febbraio 2011, n. 5, del Ministero del Lavoro, inerente alla
qualifica di lavoratore, per evidenziare che la responsabilità solidale del committente con
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l’appaltatore e il subappaltatore sussiste, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto,
per i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonche' i contributi
previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di
appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile
dell'inadempimento.
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